SENTENZA D’APPELLO SU MACERATA: GIUSTIZIA È (RI)FATTA. LA VIGILANZA DEVE RIMANERE ALTA

Accogliamo con sollievo la notizia giunta dalla Corte d’Appello di Ancona, che ha ribaltato la scandalosa sentenza di primo grado del Tribunale di Macerata, condannando a 3 anni di reclusione l’autore della violenza sessuale ai danni di una ragazza all’epoca diciassettenne. Questa decisione ristabilisce la verità dei fatti e restituisce dignità alla vittima, riconoscendo la sua parola e la violenza subita. È una vittoria importante, che conferma come la giustizia possa e debba correggere i propri errori.

Tuttavia, non possiamo e non dobbiamo archiviare quanto accaduto in primo grado. L’orrore delle motivazioni depositate dal Tribunale di Macerata, emerse ieri sulla stampa, resta una ferita aperta e un segnale d’allarme gravissimo sullo stato della cultura giuridica nel nostro Paese.

Il pericolo persistente della vittimizzazione secondaria

Non dimenticheremo le parole usate dal Tribunale di Macerata: l’assoluzione basata sul fatto che la vittima aveva già avuto rapporti dunque era in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione. Queste affermazioni rappresentano un manifesto della cultura dello stupro e un atto di vittimizzazione secondaria istituzionale intollerabile. Il fatto che un collegio giudicante, nel 2025, abbia potuto mettere nero su bianco tali pregiudizi dimostra quanto radicata sia ancora la mentalità patriarcale, che tende a processare la libertà sessuale delle donne anziché il reato commesso dagli uomini. Anche se la sentenza è stata riformata, il pensiero che l’ha generata persiste e deve essere combattuto senza tregua.

Un monito per il futuro e il richiamo alla Convenzione di Istanbul

La sentenza di primo grado ha rischiato di lanciare un messaggio devastante a tutte le donne: denunciare può significare esporsi al giudizio sulla propria vita privata, vedersi negare il diritto fondamentale all’autodeterminazione sessuale. La Corte d’Appello ha fortunatamente riaffermato i principi cardine dello Stato di diritto e della Convenzione di Istanbul, la quale vieta espressamente l’utilizzo della condotta sessuale pregressa della vittima per screditarne l’attendibilità (Art. 54). Ma in un Paese che continua a registrare dati drammatici sulla violenza di genere e sui femminicidi, non possiamo permetterci di affidare la tutela delle donne solo ai gradi successivi di giudizio. La protezione deve essere garantita fin dal primo momento.

La nostra posizione: vigilanza e formazione

Esprimiamo la nostra vicinanza alla giovane donna che ha dovuto affrontare non solo il trauma della violenza, ma anche l’umiliazione di una sentenza ingiusta, costretta a lottare in appello per vedere riconosciuti i propri diritti. Questo episodio deve servire da monito per tutte e tutti noi. Noi, operatrici dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio, continueremo a vigilare affinché le aule di tribunale siano luoghi di giustizia e non di ulteriore violenza.

Ribadiamo con forza la richiesta al Ministero della Giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura: è urgente e indispensabile investire in una formazione specialistica obbligatoria per tutti i magistrati e gli operatori del diritto sulla violenza di genere, sugli stereotipi e sulla corretta applicazione delle convenzioni internazionali.

Solo attraverso un profondo cambiamento culturale potremo garantire che nessuna donna debba mai più sentirsi dire che, in fondo, “doveva aspettarselo”.

Firmato,

Fano – Associazione Cante Di Montevecchio Onlus

Ancona – Associazione Donne e Giustizia

Ancona – Polo 9 Società Cooperativa Sociale

Pesaro – Labirinto Cooperativa Sociale

Macerata – Servizi Antiviolenza Il Faro

Fermo e Ascoli – Società Cooperativa Sociale On The Road

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